NEOCLASSICISMO

Neoclassicismo (letteratura) Stile sviluppatosi in Europa nella seconda metà del Settecento che riguarda soprattutto le arti figurative e la letteratura. Espresse un nuovo orientamento del gusto e delle predilezioni culturali verso la civiltà antica, soprattutto greca, scelta come modello da emulare (Vedi Arte e architettura greca e Letteratura greca).

Alla base di questa tendenza sono anzitutto alcuni ritrovamenti archeologici di grande importanza, insieme alla nascita di un "turismo" aristocratico diretto verso i luoghi della classicità, soprattutto in Italia e in Grecia. Così, Saverio Scrofani scrisse un Viaggio in Grecia (1799-1800), mentre la Campania e la Sicilia erano meta di escursioni sempre più frequenti alla ricerca di ruderi classici. Lo dimostrano parecchie testimonianze di viaggio settecentesche, tra cui il Viaggio per tutte le antichità della Sicilia (1781) di Ignazio Paternò principe di Biscari.

Il maggiore teorico del neoclassicismo fu il tedesco Johann Joachim Winckelmann, archeologo e storico dell'arte, sostenitore di un'arte equilibrata e composta, priva di passionalità, capace di rievocare la naturale semplicità dei tempi remoti della civiltà. Winckelmann aveva visitato Pompei e Paestum, intuendone per primo l'importanza archeologica.

In Italia, centro di questa cultura fu Milano, capitale del Regno d'Italia all'epoca di Napoleone; venne avviata qui l'impresa editoriale della "Collezione dei classici italiani" (1802-1814), che raccoglieva gli autori maggiori della tradizione italiana fornendo un canone ben preciso di letterarietà. Del resto, a Milano lavorava Antonio Canova, celebre scultore di statue dalla bellezza astratta ed esangue.

In ambito letterario, il neoclassicismo comporta il richiamo a un immaginario particolare, popolato di divinità e storie mitiche, con la ripresa di alcune figure esemplari del mondo antico: la poetessa Saffo, sensibile ma brutta; Cornelia, l'eroica madre dei Gracchi; Erostrato, cittadino di Efeso che incendiò il tempio di Artemide per conquistare la fama. Personaggi e storie come queste sono rappresentate in opere narrative (i romanzi neoclassici di Ippolito Pindemonte e di Alessandro Verri) e in testi poetici il cui stile è modellato tenendo presenti soprattutto i classici latini e greci. La lingua è artefatta e non moderna; quando il riferimento non è al mondo antico ma al presente, ecco il ricorso all'allegoria.

I generi letterari più frequentati sono quelli tradizionali della classicità: Vittorio Alfieri fece rivivere la tragedia, ambientando le sue storie nel mondo antico. Maggiore scrittore neoclassico italiano fu Vincenzo Monti. Anche se la sua produzione non può essere ridotta semplicemente sotto questa etichetta, è significativo il fatto che probabilmente la sua opera migliore è la traduzione in endecasillabi sciolti (Vedi Versificazione) dell'Iliade di Omero, completata nel 1810. Del resto, diversi autori hanno "attraversato" il neoclassicismo senza perciò limitarsi a questa esperienza espressiva. Così, Ugo Foscolo scrisse due odi allegoriche neoclassiche (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, del 1799, e All'amica risanata, del 1802) e concluse la sua carriera poetica con le Grazie, poema rimasto frammentario dedicato a tre divinità minori che secondo la mitologia classica sono al seguito di Venere. Melchiorre Cesarotti, cultore del greco, tradusse un'opera destinata ad avere fortuna presso i romantici, le Poesie di Ossian antico poeta celtico (1763), scritte dallo scozzese James Macpherson, che le spacciò per antichi testi gaelici. Nelle Prose e poesie campestri (le prime stampate nel 1788, le altre nel 1817), Ippolito Pindemonte celebra "piaceri eruditi e tranquilli" sullo sfondo di uno scenario campestre. Qui l'autore ricorda la tradizione pastorale che risale a Teocrito, ma invece del distacco neoclassico compare in evidenza una vena melanconica.

Che il neoclassicismo sfumi nel romanticismo è poi confermato da un fatto interessante: l'articolo di Madame de Staël Sull'utilità delle traduzioni in Italia, destinato a scatenare nel 1816 la polemica tra classicisti e romantici, apparve sulla rivista "La Biblioteca italiana" proprio nel periodo in cui Monti era condirettore. A tradurlo fu un "classicista illuminato", Pietro Giordani.

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